Francesco Francia è un Fotografo di moda ed un fotografo pubblicitario internazionale specializzato in fotografia Pubblicitaria, Commerciale, fotografia di Moda, Cataloghi Aziende, Look Book, Commercial Advertising Photography, Still Life Creativa, per E-commerce, Fotografia Industriale e Ritratto Istituzionale
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Francesco Francia è un fotografo pubblicitario professionista autore di campagne pubblicitarie, brochures, look book e cataloghi aziendali. L’ advertising in generale è il suo core business da oltre 20 anni. Laureato in economia e specializzato in marketing, è stato art director in precedenza per campagne nazionali di medio-grandi aziende. Diventato fotografo professionista e docente di fotografia e comunicazione visiva all’età di 25 anni ha proseguito il suo percorso esclusivamente come fotografo pubblicitario.
La fotografia pubblicitaria è di fondamentale importanza in una campagna promozionale e di marketing in quanto vanno analizzati molti aspetti inerenti la comunicazione visiva. Non basta quindi produrre “belle immagini” ma va eseguito un progetto mirante ad uno specifico target di mercato, che si traduce operativamente in un moodboard e successivamente in uno storyboard: strumenti indispensabili per il team di lavoro composto ( art director, fotografo, MuA, Stylist, hairstylist ecc) per realizzare un progetto fotografico ed una comunicazione efficaci.
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LA COMUNICAZIONE VISIVA
INTRODUZIONE
Nella comunicazione abituale, quella quotidiana, con la quale ognuno di noi ha rapporti inevitabili, gioca un ruolo molto importante anche ciò che non viene veicolato attraverso la voce, ciò che non trova spazio all’interno di frasi e parole emesse dagli interlocutori.
Chiunque si sia trovato coinvolto in una normalissima interazione comunicativa, cioè chiunque appartenga ad una comunità di parlanti, anche senza rendersene conto, presta molta attenzione ai gesti, alla postura, alle espressioni facciali del proprio interlocutore.
Quante volte, parlando con un amico circa una discussione avuta poco prima con un’altra persona, ci troviamo a dire “non so, mi ha dato ragione, ma non sono convinto” o frasi simili?
Perchè non siamo convinti che ciò che ci è stato detto sia vero, o nasconda qualcosa di più profondo?
Cosa ci spinge a dubitare delle parole?
La risposta è : la comunicazione non verbale; ovvero, come già detto, i gesti, le espressioni del viso e tutti quei messaggi, volontari e non, che ognuno di noi trasmette simultaneamente al dialogo parlato. Messaggi che generalmente accompagnano il discorso, seguendo un’unica direzione, insieme; messaggi che altrettanto spesso contrastano, invece, con ciò che stiamo dicendo o ascoltando, e rivelano i reali pensieri del parlante.
Questi messaggi sono la base della comunicazione in fotografia.
ASPETTI TEORICO STORICI DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA
Sono poco piu’ di vent’anni che studiosi di varie discipline si occupano, con metodo e passione, della ricerca degli elementi, degli strumenti e delle modalità della creatività: quel complesso processo mentale attraverso il quale si formulano nuovi pensieri o si progettano nuovi oggetti. Prima di allora la creatività era ritenuta insondabile, un fatto del tutto privato, dovuto alle doti personali, che genitori ed insegnanti potevano tutt’ al piu’ stimolare. Non si immaginava neanche che la si potesse insegnare quasi come una qualsiasi altra materia. E’ vero che già nel 1954 era sorta a Buffalo, N.Y., la Fondazione dell’ Educazione Creativa, voluta e diretta da Alex F. Osborn, un geniale e creativo pubblicitario americano da cui era nato l’ Instituto per i problemi creativi (con studi fotografici e cinefotografici sulla nuova arte per la rappresentazione di immagini); ma è solo con il maggio francese del 1968 (L’immaginazione al potere) che la creatività si pone anche in Europa come elemento indispensabile alla soluzione di molti problemi aziendali e sociali. La nostra è una società prevalentemente laica, pragmatica ed antropocentrica, nella quale il posto che nel Rinascimento era appartenuto ai Principi ed ai principii, viene prevalentemente occupato dalle aziende e dalle economie di mercato. I nuovi Principi sono quindi le aziende. Sono loro gli sponsor degli eventi culturali, televisivi, sportivi e mondani; sono loro i maggiori comunicatori sociali; pervadono tutti i mezzi di comunicazione e li sostengono. Avviene uno scambio osmotico\comunicazionale fra la cultura societaria e la cultura d’azienda, nel quale si prende dalla societa’ e nello stesso tempo la si orienta, si fondano nuovi simboli, nuovi sogni, nuova cultura di massa. Come dice Pasolini: “il nuovo potere borghese necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico”. La pubblicità e tutta la comunicazione d’impresa in generale non è altro che la voce di questa cultura laica, pragmatica ed edonistica, non il soggetto, mentre è comune abitudine attribuire alla pubblicità tutte le sospettate colpe di questa società, compresi i troppi incidenti stradali… causati da cartelloni con belle donne che reclamizzano prodotti.
1.Definizioni di pubblicità
Moltissime sono le definizioni di pubblicità. “E’ una forma di propaganda diretta ad ottenere dalla collettività la preferenza nei confronti di un prodotto o di un servizio; la pubblicità è l’anima del commercio”. Così la definisce il Devoto Oli, Dizionario della lingua italiana. Giorgio Albertazzi capovolse i lemmi di questo motto ed ironizzò: “La pubblicità è il commercio dell’anima”. L’interpretazione di questa frase può essere diversa, cioè: i pubblicitari danno un’anima al prodotto o all’azienda, quindi vendono anime, dei prodotti, non le loro. Dal vocabolario della lingua italiana Treccani riporto il significato della parola pubblicità: “L’insieme di tutte le forme di propaganda aventi lo scopo di far acquistare prodotti ed utilizzare servizi da parte della collettività”. Orio Peduzzi (nella sua “Enciclopedia di direzione ed organizzazione aziendale”) chiarisce che la pubblicità fa parte di quel complesso di processi e di tecniche distributive che anche in Italia, in mancanza di altro termine, si usa indicare col nome di marketing. Per il marketing la pubblicità è vista come insieme di forme di comunicazione di massa, impersonale, a pagamento, volta a produrre vantaggi per il committente. Si potrebbe andare avanti così per un bel po’, perchè esistono innumerevoli definizioni di pubblicità, tutte a loro modo interessanti. Edoardo T. Brioschi scrive: “qualsiasi forma di comunicazione di massa a carattere persuasorio ed oneroso, proveniente da una fonte identificabile ed avente delle finalità di tipo commerciale” e su questa definizione di pubblicità ci soffermeremo. Si potrebbe eccepire che quel “di massa” forse oggi è un po’ restrittivo, poichè il Direct Marketing è direttamente rivolto al singolo, anzi è tanto più efficace quanto meglio conosce il singolo. Però anche il Direct Marketing può ancora essere considerato di massa perchè, pur essendo diretto al singolo, è sempre interesse dell’emittente raggiungere la nicchia o le nicchie, dei consumatori, suddivisi per sesso, età, lavoro, area geografica, ecc. o attraverso gli stili di vita, a gruppi che hanno modi di pensare e di agire simili; per cui anche con il Direct Marketing in fondo ci si rivolge a gruppi di persone.Quando l’azienda emittente si rivolge al singolo sollecita i suoi desideri egoistici, nel senso che sono riferiti quasi esclusivamente alla sua persona o alla sua famiglia. Non sono più desideri o miti collettivi o sociali, quali la cultura, l’arte, i diritti sociali, ecc. Tornando alla definizione di Brioschi, non sono contemplate nè la politica nè la propaganda sociale; il termine propaganda viene utilizzato per indicare la comunicazione di massa di carattere politico o religioso, non per la comunicazione commerciale (un caso a parte è la pubblicità sociale, quale la pubblicità progresso). Infine riporto una definizione che vede la pubblicità come un messaggio finalizzato al raggiungimento di determinati obiettivi di marketing (da “La pubblicità oggi”). Anche se un po’ generica, questa definizione è quella che preferisco perchè puntualizza sia che la vera fonte della comunicazione pubblicitaria è l’impresa, e non il creativo o l’agenzia o lo studio pubblicitario, sia che il vero fine della pubblicità è il raggiungimento degli obiettivi di marketing prefissati dall’azienda, senza i quali non sarebbe facile ideare un’efficace azione pubblicitaria. C’è un’altra parola che non si deve confondere con pubblicità, ed è publicity, che è un’attività volta alle pubbliche relazioni con lo scopo di dare una immagine favorevole all’azienda. E’ solo dal 25 gennaio 1992 che esiste una definizione giuridica di pubblicità. In quella data infatti lo stato italiano ha emanato un Decreto Legislativo, in ottemperanza ad una direttiva Cee del 1984, nel quale ha definito per la prima volta cosa deve intendersi per pubblicità e per pubblicità ingannevole (“Gazzetta Ufficiale” 13\2\1992; Decreto Legislativo 25 gennaio 1992, n.74 composto di 2 articoli uno sulle finalità ed uno sulle definizioni). La pubblicità è uno dei vari elementi del marketing che insieme contribuiscono alle decisioni d’acquisto. Ci sono tantissimi altri elementi in gioco, di tipo economico o psicologico, quali: il prodotto, il prezzo, la concorrenza… finanche il tempo atmosferico può influire sull’andamento delle vendite: se piove i metereopatici faranno meno acquisti, e la gente comune tenderà a ridurre lo shopping.
2.Storia del copywriting italiano
Prima di guardare al moderno copywriting, dobbiamo però pensare agli albori della pubblicità; le prime comunicazioni per vendere (essenza della pubblicità) sono state le insegne dei negozi, la più antica delle quali è una di una macelleria di Pompei (risalente ad oltre 2000 anni fa). Un’altra forma di pubblicità ante litteram era quella dei banditori, tanto che molte attività commerciali ne possedevano uno. Ma veniamo a tempi più recenti ed occupiamoci del Bel Paese.
Possiamo far partire la storia del copywriting italiano dal secondo dopoguerra, da quando cioè, nel mondo della pubblicità, “arrivano i nostri” (intendo gli americani) a portare la cultura del marketing. In realtà all’inizio gli americani si limitano a far arrivare bozzetti ed a far tradurre i testi. Ma a metà degli anni Cinquanta è operativa la prima multinazionale che ha aperto i suoi battenti in Italia, cioè la Lintas. I creativi cominciano a fare i conti con benefit, reason, why, plus, minus, brand image, termini che nell’uso delle agenzie sono rimasti per sempre in inglese. Il famoso “Omo lava più bianco” è uno dei primi risultati di questo nuovo modo di lavorare, sembrerà poco come risultato di scrittura, ma dietro c’è già la macchina da guerra del marketing, che mira ogni colpo prima di sparare. Nel 1957 nasce Carosello che va controcorrente rispetto alla strada metodologica intrapresa. Il legame fra prodotto e spettacolo era una rima, una trovatina, a volte l’aggancio di una frase sempre uguale. Carosello fu la via italiana alla pubblicità. Riuscì ad intrattenere, vincere i moralismi contro la pubblicità ed a renderla addirittura simpatica (pensiamo al fenomenale caballero messicano del caffè Paulista, anche se era già un’idea legata al prodotto). La stagione del Carosello dura vent’anni: termina le sue trasmissioni il primo gennaio del 1977.
L’ Agenzia Armando Testa, nata nel 1946, era intanto diventata una realtà economica oltre che creativa. Armando Testa, grafico geniale con il gusto del paradosso visivo e grande cartellonista, accetta la sfida del Carosello e trasporta lì con successo il suo particolare linguaggio, la sua sintesi, il suo umorismo (Calimero ed altri eroi di Carosello nascono da lui). Tuttora l’Armando Testa, pur essendo una realtà in evoluzione e conseguentemente soggetta a standardizzazione, conserva uno stile televisivo ben preciso, che è l’erede del Carosello: lo stile della commedia all’italiana con le sue battute bonarie e con ampio uso di testimonial (pensiamo a Massimo Lopez condannato a morte per la Telecom, che è riuscito a conquistare la giuria di Cannes; è lo stile del caffè Lavazza con Bonolis e Laurenti, unica agenzia che riesce a scherzare con tale garbo su cose sante dei cattolici). Negli anni Settanta si sviluppò un tipo di dialogo nella pubblicità italiana che fu la gioia di sociologi e linguisti: il marinettismo. Consiste nell’ inventarsi una lingua, una lingua euforica, sopra le righe, nella convinzione che questo metta in movimento la comunicazione, un po’ alla maniera dei marinettisti (Cinar l’aperitevolissimevolmente ne è un esempio assai calzante). Sempre negli anni Settanta nasce pubblicità progresso, legata ai temi della rivoluzione sessuale: non far abortire l’aborto, fu uno dei primi slogan. Il post-Sessantotto porta anche alla gioia della demenzialità artistica, a grandi piroette sul prodotto; è l’alba di un decennio caratterizzato dall scanzonatezza, la fantasia, a volte il non-sense; ma anche dall’impegno. I primi anni Ottanta sono eccellenti dal punto di vista del copywriting, quasi irripetibili. Una grande pulizia di pensiero segna i migliori annunci di questo periodo. Il pensiero dominante è che una generazione di giovani trasmette tutto il proprio mondo ogni volta che sposa un prodotto. A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta la base della pubblicità erano diventati i giochi di parole o i doppi sensi. Ma gli anni Ottanta sono stati anche caratterizzati dal boom della televisione (inteso come diffusione capillare sul territorio), si passa quindi alla predominanza del visual; il messaggio anche nella stampa prende la via della seduzione, dell’intrattenimento, a volte fine a se stesso. Infine, anche il gioco di parole stanca e si passa a nuovi metodi. Gli anni Novanta sono caratterizzati da grande eclettismo, mentre l’art direction muove passi da gigante e tratta in modi sempre nuovi l’immagine, il copywriting oscilla fra tutte le sue varie anime, si instaura una freschezza nuova fra immagine e titolo (pensiamo alle pubblicità affisse dell’Esselunga lungo le strade). Insomma non ci si fa più schiacciare dal visual. Se pensiamo ai primi forgiatori di insegne dobbiamo dire che ne abbiamo fatta di strada!
3.La rèclame
Rèclame è un termine usato come sinonimo di pubblicità sin dagli anni a cavallo del secolo, sul quale ritengo necessario fare delle precisazioni. Il termine è sinonimo di pubblicità, ma ha acquisito col tempo una connotazione negativa: comunicazione ciarlatanesca e non veritiera; definire rèclame una pubblicità è già darne un significato negativo. Quando si dice rèclame si è portati a pensare alla pubblicità di fine ‘800 inizio ‘900, che è stato un fenomeno di grande espressione artistica. Con lo sviluppo dei quotidiani, verso la fine del ‘700 si apre la possibilità di diffondere notizie relative alla produzione di beni o servizi con finalità mercantili. I primi ad occuparsi di riempire gli spazi acquistati sui giornali furono gli stessi utenti pubblicitari, gli inserzionisti, cioè produttori o commercianti, o, in loro vece, i venditori di spazi, i quali lavorando per conto dei giornali furono chiamati agenti. Naturalmente sia gli utenti sia gli agenti, in mancanza di pubblicitari, si rivolsero ai professionisti nei campi più vicini, cioè disegnatori, incisori, poeti, fotografi… per formulare i loro annunci. Questo avviene ancora oggi quando una agenzia fotografica commissiona ad un fotografo, o immagazzina nel proprio archivio, immagini che potrebbero risultare vincenti per una specifica campagna pubblicitaria. Qualora una azienda fosse interessata ad una di tali fotografie per una propria campagna, o qualora una agenzia pubblicitaria ritenesse di necessitare di tali immagini, l’agenzia fotografica vende i diritti sull’uso commerciale della fotografia in questione, che aveva precedentemente acquistato dal fotografo (in genere dopo la vendita dei diritti commerciali, i profitti vengono divisi con il fotografo, in una percentuale che nelle foto artistiche può arrivare al 50\70%). Tornando alla rèclame, pioniere dei manifesti a colori (veri antenati della fotografia d’autore) dell’affiche francese fu Toulouse-Lautrec, con i suoi famosi manifesti per i locali di divertimento (il Moulin-Rouge è del 1891). Ai francesi si affiancarono subito artisti italiani, come il livornese Cappiello che introdusse le immagini simbolo (altra base per la fotografia in pubblicità), cioè immagini che fossero in grado di comunicare istantaneamente l’essenza del prodotto; oggi Cappiello è ricordato come l’inventore del manifesto-marchio (famosa è la Zebra Rossa per Cinzano).
Il termine rèclame ha assunto quindi, sin dagli anni Venti, due significati: da una parte pubblicità ciarlatanesca; dall’altra pubblicità d’artista. Nella rèclame insomma la comunicazione è fatta dall’artista che esprime le proprie emozioni ed il suo mondo, piuttosto che dall’azienda o dal prodotto. Pubblicità e rèclame si delineano allora come due creative, due modi di intendere il lavoro: professionalità e scientificità da una parte, artisticità e prevalenza della forma rispetto ai contenuti dall’altra. In questo senso, quindi, ancora oggi si fa della rèclame quando la pubblicità è affidata ad un artista (sia esso fotografo o scrittore) anzichè ad un pubblicitario. Ecco spiegata la diffidenza, da parte dei pubblicitari, verso il termine francese rèclame e la preferenza dell’italiano pubblicità o dell’anglosassone advertising.
4.Piano marketing
Alcuni pubblicitari italiani degli anni Cinquanta, in contaddizione con la pubblicità scientifica di scuola anglosassone, sostenevano che i creativi non dovessero sapere nulla della strategia di comunicazione che stava dietro al lancio del prodotto in modo da essere liberi di creare in completa spontaneità. Oggi, fortunatamente, si pensa in maniera diversa. E’ vero che il lavoro creativo deve essere libero, spontaneo, ma deve nascere su un terreno solido, con delle fondamenta che sono appunto la conoscenza degli obiettivi di marketing aziendali, fissati nel piano marketing (o marketing plan), che è la base per procedere nel lavoro creativo. Cos’è un piano marketing? E’, in breve, un documento che precisa le linee d’azione che l’azienda vuole adottare sul mercato in un dato momento, e comprendere: fatti, problemi, oppurtunità, obiettivi e programma. La buona idea non cade mai dall’alto sul creativo come la mela di Newton. L’istinto e l’intuizione del creativo, per essere utili al circuito di mercato in cui si offrono, devono nascere su un percorso di pensiero disciplinato: sapere esattamente dove si vuole arrivare e come arrivarci. Dove si vuole arrivare ce lo dice la strategia di marketing, come arrivarci lo decidiamo noi. La strategia di marketing è il piano fondamentale; la strategia creativa (copy strategy) definisce cosa dirà la pubblicità e come lo dovrà dire. Ogni agenzia che abbia una sua precisa filosofia creativa ama predisporre un suo originale percorso strategico\creativo. Ma in effetti, nella maggior parte dei casi, le divergenze sono minime da quello che è il tradizionale schema che segue. I cinque punti del piano pubblicitario:
Obiettivo: ciò che la pubblicità vuole ottenere
Destinatario (o target): a chi si rivolge la pubblicità
Beneficio fondamentale (o consumer benefit): quello per cui il consumatore dovrebbe comprare il prodotto
Sostegno (o supporting evidence): ragione per cui il consumatore può credere alla promessa del beneficio
Tono e stile: definizione dei modi formali che caratterizzano la personalità del prodotto
Un valido piano pubblicitario ed una strategia creativa adeguata possono svilupparsi solo grazie ad un preciso piano marketing aziendale ed ad un esauriente brief. Un brief è un documento in base al quale l’agenzia procederà nell’impostazione di un piano pubblicitario, e riassume le informazioni su: obiettivi, azienda, prodotto, mercato, target, i probabili clienti (detti prospect), coloro che sono già acquisiti, coloro che possono influenzare le scelte (detti opinion leader o decision makers); e sull’investimento globale previsto per la comunicazione pubblicitaria (budget). Le informazioni vengono raccolte in una serie di incontri, detti briefing, fra agenzia ed azienda.
La stesura del brief è il compito primo dell’account, un professionista che lavora in agenzia e rappresenta il cliente presso l’agenzia e l’agenzia presso il cliente, ed è un compito complesso ma molto importante per impostare ed individuare i problemi da risolvere. Cuore del piano pubblicitario è la strategia creativa, che è creatività finalizzata agli obiettivi del marketing aziendale. Innanzitutto i creativi debbono capire qual è il problema da risolvere, cosa si può ottenere con le varie tecniche di comunicazione, di massa o dirette, tattiche o strategiche, promozionali o classiche, in questo momento e con questo prodotto (l’hic et nunc della pubblicità).
Ultima fase, ma non meno importante, è capire il prodotto, verificando il suo posizionamento attuale. Se l’immagine del prodotto funziona, cioè è gradita e vende, è meglio non cambiarla. A volte però può essere utile aggiornarla.
5.La persuasione
Questo concetto si può riassumere nello slogan: “E’ buona e fa bene”; il primo è un product plus ed il secondo è un consumer benefict. Certamente non basta questo tipo di comunicazione per convincere il destinatario di un messaggio a cambiare parere o atteggiamento nei confronti di un’azienda o di un prodotto. Premesso che si può dire non esistano comunicazioni che non intendano essere persuasive, perchè chiunque dia anche solo delle notizie vuole essere quantomeno creduto, cerchiamo di capire quali possono essere gli elementi in gioco per persuadere. Tra le teorie che studiano la persuasione molto considerata è quella detta dissonanza cognitiva, proposta da Leon Festinger, secondo la quale alla base del comportamento umano esisterebbe una tendenza a rendere coerenti tutte le informazioni. Un caso di dissonanza cognitiva si ha quando un individuo, dopo aver acquistato, riceve delle informazioni sul prodotto diverse da quelle che aveva in precedenza; sicuramente il primo impulso sarà quello di accettare solo quelle positive, concordi con il suo modo di pensare, e di rifiutare quelle discordanti. Atteggiamento naturalmente proporzionale ai convincimenti. Un esempio, quando si acquistano macchine di lusso come status symbol, spesso senza alcuna informazione tecnica, si guarda a tutto ciò che di positivo riguarda quell’auto, e se ne è gratificati, respingendo qualsiasi altra informazione negativa. Vecchia dice a riguardo dell’argomentazione (punto focale nell’arte di persuadere): “per convincere non basta sapere che cosa bisogna dire, si deve cercare di capire cosa il pubblico si vuol sentir dire […] il primo sforzo è quello di adattarsi all’individuo a cui ci si rivolge, e poichè ogni concetto in sintesi non è che un ragionamento, di fare in modo che noi ed il pubblico si sia d’accordo sulle premesse da cui il ragionamento parte”. Uno schema classico dell’argomentazione è il seguente:
Accordo sulle premesse, sia sulle premesse del reale (dati fattuali concreti) sia su quelle del preferibile (opinioni e valori)
Opinioni, intese in tre modi come luoghi comuni di quantità (1% di sodio, molti lo ritengono essenziale), di qualità (il solo che…), di ordine (100 anni di tradizione)
Relazioni fra prodotto e pubblico, riferite a tre livelli: prima persona che evidenzia il product plus (stira più pulito), seconda persona per il consumer benefict (hai questo problema, io te lo risolvo), terza persona quando il prodotto viene presentato da un testimonial ( di tre tipologie, cioè reale, inventato ed opinion leader)
Le relazioni fra prodotto e pubblico possono venir presentate seguendo dei format, in italiano formati, che sono modi tipici, stili codificati di comunicazione. Il concetto di format non si riferisce solo alla forma esteriore dell’annuncio, include anche modelli concettuali di esposizione degli argomenti, sistemi di comunicazione ripetitivi, tipologie di argomentazione. Annamaria Testa li definisce come un assetto generale, comprendente impaginazione e tipografia. In pubblicità sono stati sperimentati e codificati un certo numero di format: format con testimone (può essere anche plurimo come nel caso “ogni giorno migliaia di persone comunicano con Tiscali”), format realistico (un tranche de vie cioè uno scorcio di vita vissuta), format jingle (musicale, la musica è l’aspetto pregnante), format umoristico… il più legato all’immagine è il format istantaneo. Quest’ultimo è un tipo di annuncio che fa dei riferimenti alla cronaca, perchè deve essere tempestivo e collegarsi a fatti realmente noti, e può essere molto legato all’immagine proprio per l’immediatezza del visual. Memorabile la campagna della Black & Decker del 1987 il cui titolo era: “E’ facile essere bravi con Black & Decker”. Nel visual la testa di una statua nello stile di Amedeo Modigliani. Si ricollegava ad un fatto di cronaca: il ritrovamento di alcune sculture in pietra, erroneamente attribuite a Modigliani. L’agenzia J.W. Thompson fu eccezionale nello sfruttare l’accaduto.
6.Testo ed immagine
Lo scontro\incontro di immagine e testo contribuisce a creare il senso vero, il tono di una campagna. La parte visiva ed il testo, in un annuncio pubblicitario, debbono assolvere allo stesso compito: parlare per il prodotto o per l’azienda, ma con specifiche proprie, senza fare a gara fra loro, per cui è fuori posto qualsiasi disputa fra art e copy su cosa debba prevalere, se l’immagine o il testo. L’importante è che non si ripetano e che ognuno contribuisca a dare senso alla comunicazione per una buona riuscita della campagna. Abbiamo già detto che l’immagine costituisce linguaggio, ed in particolare il cinema, la televisione, i fumetti, ecc. hanno dei linguaggi visivi precipui, specifici, anche se al loro interno vi possono essere delle contaminazioni di generi. Ed ognuna di queste sottospecie linguistiche ha una propria grammatica, una propria sintassi, un proprio lessico. Ma mentre per la lingua scritta esistono degli abbecedari, delle grammatiche, dei vocabolari, per le lingue visive no (uso il plurale dal momento che esistono differenze semantiche e di codici nelle varie etnie). Esistono invece studi di vari autori sui linguaggi specifici, sul cinema, sul fumetto, sulla tv, ecc., e sui linguaggi visivi. La possibilità che il linguaggio visivo ha di esprimersi è illimitata, avendo però ben presente la distinzione esistente tra parola ed immagine, essendo collocate in ambiti segnici diversi. La parola fa riferimento infatti ad un mondo concettualizzato, l’immagine fa sempre riferimento invece ad una realtà specifica. La parola è razionale, simulazione codificata della realtà, l’immagine è emozionale, e rappresentazione diretta della realtà, o almeno così appare. La parola è legata al codice linguistico dei parlanti, l’immagine è universale, anche se i lettori leggeranno cose diverse, legate alla loro specifica cultura. La prima è espressiva, la seconda descrittiva; la parola è analitica, l’immagine sintetica, anche quella in movimento, come le immagini di un film. La frase verbale può avere diverse dimensioni temporali, potendo essere coniugata, mentre l’immagine è sempre nel tempo presente, hic et nunc, anche se rimanda ad un tempo passato. La parola può essere astratta, l’immagine è concreta. Esistono delle tecniche visive che hanno analizzato le componenti delle immagini, ne citerò un esempio per quanto riguarda il colore rosso.
“Tutto il linguaggio visivo è un insieme di segni”. Il visual di un annuncio pubblicitario è costituito innanzitutto da segni. Ne prendiamo uno a caso e lo analizziamo, senza la pretesa di fare della semiologia, o semiotica, cioè la scienza dei segni: prendiamo, appunto, il rosso.
E’ un segno? Sì, certamente. Poniamolo in varie situazioni e vediamo cosa succede: cambia, aggiunge, toglie significato, a seconda di dove e come viene utilizzato. “Tutto è segno” dice Croce. Prendiamo un foglio rosso, è un colore caldo, vivo, violento, a seconda della luce che lo illumina, del colore che lo circonda, della sensibilità e della percezione visiva del lettore. Un daltonico poterebbe vederlo verde. Così, fuori da un qualsiasi codice, non ci informa d’altro. Però ne conosciamo la texture, cioè la tessitura o il disegno della superficie, la sensazione tattile, abbiamo altri tipi di informazioni. Cambio il supporto di questo colore, al posto di un foglio di carta prendo un pezzo di stoffa: il colore è leggermente cambiato; ora è lanoso, caldo, tramato, è cambiata la texture Potrebbe essere una bandiera rossa, simbolo di vari partiti di sinistra in tutto il mondo; ma le industrie balneari lo usano per significare divieto di balneazione.
Nel film “Tempi Moderni” di Chaplin c’è una scena in cui da un camion che trasporta esplosivi cade una bandiera (anche se il film è in bianco e nero, si capisce che è rossa). Charlot la raccoglie e la agita per richiamare l’attenzione dell’autista, ma dietro di lui si accoda un corteo di scioperanti che sopraggiunge da un’ altra strada. Ecco, qui l’ilarità (e quindi la creatività) nasce dall’equivoco causato dal cambio di codice. Cambio la forma del supporto cartaceo. La faccio diventare tonda. Puo’ essere una luna rossa, o la bandiera giapponese. Modifico ancora la forma del segno e le cose cambiano: faccio un cuore molto semplice. L’ informazione che ne deriva è: vita, amore, seme delle carte da gioco. Se il cuore fosse blu, si tratterebbe di sangue blu, se fosse nero sarebbe morte. Ma ecco, metto il cuore al centro di un bersaglio, il senso sarà vita in pericolo; quindi quel segno, aggiunto ad un altro, può diventarne l’opposto, da vita a pericolo di morte. Il rosso di una traccia di rossetto (a forma di labbra) significa amore, ma un occhio rosso significa odio, stato di ebrezza, stanchezza, forsanche follia. Il rosso può essere usato in pubblicità per far risaltare un particolare all’interno di un visual in bianco e nero. Un esempio classico è quello del segnale della metropolitana londinese, in cui il cerchio è rosso perchè così fatto attira molto di più l’attenzione.
7.La fotografia
Anche i mezzi espressivi danno senso al messaggio. Per un messaggio simbolico è preferibile il disegno, manuale o al computer, per uno realistico la fotografia. Anche se la macchina fotografica può mentire come e più di un disegno, per il fatto che supponiamo che la fotografia mostri la realtà, l’inganno è più facile: vedere è già un po’ credere. Basta semplicemente intervenire sul taglio, sull’inquadratura di una foto che il senso cambia. Molti paparazzi hanno utilizzato questo espediente per fare degli scoop fotografici. Potremmo considerare la fotografia un falso d’autore, perchè è sempre una parte per il tutto (una sineddoche), elimina il contesto, altera le misure ed i colori ed è un punto di vista strettamente personale. Se pensiamo poi alla quantità di trucchi fotografici oggi possibili per mezzo della computer grafica ci rendiamo conto di quanto la realtà della fotografia sia ormai inattendibile. Cambio di colore, cancellazioni, ridimensionamento dell’immagine o di un particolare, duplicazioni di parti, ridisegno fotografico, eccetera, permettono di modificare le foto a piacimento. Ma resta il luogo comune della foto = realtà. Per cui se si debbono mettere in evidenza delle particolari bontà di un prodotto è consigliabile farlo, per quanto possibile, con la fotografia. Per gli alimentari ad esempio è sempre consigliabile la foto, perchè con una bella foto ‘still life’ acquista in desiderabilità, in appetising, come dicono gli anglofoni, cosa che non avviene con il disegno. La fotografia è inoltre più adatta del disegno per sostenere dei discorsi emotivi ed irrazionali, che si rivolgono direttamente ai sentimenti ed ai desideri, perchè, essendo visto come mezzo diretto, nasconde meglio le manomissioni degli autori. Se vedessimo disegnata la bella famiglia del Mulino Bianco, la vivremmo molto diversamente, come una favola, meno realistica.
Dice Vecchia: “Proprio per questa sua falsa immagine di mezzo sincero, realistico, immediato, la fotografia si presta male a trucchi scoperti, che sono peraltro del tutto possibili. Un simbolismo realizzato attraverso un montaggio fotografico è psicologicamente molto meno accettabile, e quindi molto meno efficace, della stessa identica immagine realizzata in disegno, a meno che tutto non sia salvato da una scoperta ironia che, rendendo complici pubblicitari e pubblico, fa accettare il trucco”. I Caroselli di stile simbolico progettati da Armando Testa, con personaggi come il Caballero e Carmencita del Caffè Paulista, o quello con Papalla, una palla come protagonista, per Philco, senza ironia sarebbero stati tutt’altra cosa. L’importante però nella foto per un annuncio è l’idea. Per quanto infatti possa essere ben fatta, se una foto non dice niente l’annuncio non interessa.
Per concludere vorrei citare le “Confessioni” di D.Ogilvy: “il soggetto dell’illustrazione è molto più importante della tecnica impiegata. Come sempre avviene in pubblicità il contenuto prevale nettamente sulla forma. Se si ha buona intuizione sul soggetto non occorre poi essere dei geni per scattare fotografie su di esso”.
8.Il disegno
Il disegno non pretende d’essere credibile, può benissimo essere un sogno, un’invenzione, un’opera di fantasia. Sarà utile allora utilizzare il disegno per un discorso simbolico, o quando si vuole esporre la realtà in modo didascalico, o quando la realtà non è fotografabile, o il discorso è di fantasia, o si vuole sottolineare una parte del discorso. Per il disegno simbolico si pensi all’immagine di ‘Punt e Mes’, una sfera completa sopra ed una mezza sotto. Una traduzione figurativa del nome del prodotto: punto e mezzo, in milanese, che aggiunge senso al prodotto. Quella sfera infatti così ingigantita (perchè fuori di un qualsiasi contesto) fa pensare al globo terrestre, è come se dicesse: è diffuso in tutto il mondo ed oltre, quindi è buono, oltre al concetto originario: un punto di dolce e mezzo d’amaro. A volte si pensa che in un annuncio possa mancare l’immagine. Non è vero. Anche senza una foto o un disegno, tutti gli annunci hanno un’immagine. Magari è solo testo (copy-ad), ma il carattere, il corpo, il layout, cioè la disposizione nella pagina creano sempre un’immagine.
9.Conclusione
Il copywriting non si può insegnare. Anzi. David Ogilvy, uno dei maestri di questo mestiere, riconosceva di essere stato molto più creativo quando non sapeva niente di pubblicità: “Ero come uno scemo che entra correndo dove perfino gli angeli hanno paura di camminare”. Un copywriter è insieme uno scrittore ed un venditore. Come sapete ci sono ottime tecniche di scrittura ed ottime tecniche di vendita, che sarà utile imparare. Ma poi ci sono istinti di comunicazione. E quelli possono venire solo dal di dentro. La tecnica e l’istinto. La grande creatività diverte, commuove, intriga, intrattiene. Ma la grande pubblicità è molto di più, riesce a creare una personalità alla marca in modo che abbia un valore per la gente. La pubblicità è un ponte fra arte ed affari, chi riesce ad attraversarlo avanti ed indietro più volte, senza farlo notare, sarà destinato al successo come copywriter.
1.Orologi
Prendiamo ad esempio le seguenti pubblicità :
1a
1b
2
Analizzando i due casi, Calvin Klein nelle immagini 1a e 1b e Ulysse Nardin nella 2, notiamo il diverso intento di due case che producono uno stesso bene : Calvin Klein seduce il consumatore con l’acciaio dell’orologio accostato a parti corporee intime di un corpo umano, come un pettorale tatuato o un ombelico.
Non viene evidenziato esplicitamente alcun pregio tecnico dell’orologio; nell’immagine 1a notiamo che è un cronografo e nella 1b leggiamo “stainless steel, 100 meters, 330 feet”, ma niente di più : quello che la pubblicità vuole trasmettere è seduzione pura.
Seduzione trasmessa con i giochi di luce su acciaio e pelle, con i toni di grigio ora morbidi, ora duri.
Il visual, ovvero l’immagine principale, occupa l’intera pagina; non abbiamo headline (titolo) e nemmeno un payoff che concluda con un messaggio la pagina pubblicitaria.
La buona riuscita della pubblicità è lasciata interamente alle emozioni trasmesse dall’immagine fotografica, come un Messaggio Iconico Implicativo (G. Pèninou-1972- “Intelligence de la Publicitè”) che coinvolge il fruitore.
Nell’ immagine numero 2 la Ulysse Nardin , invece, punta tutto sulle caratteristiche tecniche del prodotto : ogni funzione o particolarità è descritta e, in più, ci viene detto che sono affidabili, costruiscono orologi dal 1846, nei loro prodotti c’è la storia, infatti l’immagine che si staglia alle spalle dell’orologio ritrae la città di Firenze, luogo d’arte e di storia, in una tonalità cromatica che trasmette all’osservatore antichità e tradizione.
La pubblicità è costruita secondo precisi schemi, è presente l’headline, ovvero il titolo “Michelangelo Big Date”; abbiamo il visual non troppo ingombrante per lasciare spazio al bodycopy, il testo di accompagnamento che ci informa circa le potenzialità dell’oggetto reclamizzato.
La persuasione è la forza di questa pubblicità, che ci offre un orologio che sa di storia, ma che si adatta ai nostri tempi grazie alle sue caratteristiche, quali la resistenza all’acqua fino a cento metri di profondità, le lancette luminescenti o il vetro antiriflesso.
Il consumatore, posto di fronte alle due diverse pubblicità, avrà diverse “soglie emozionali”, proverà stati d’animo differenti, ed interverranno numerosi fattori ad influenzare la sua scelta, ad esempio la desiderabilità sociale, perché preferendo l’una o l’altra marca, il potenziale acquirente proietterà su di sé l’immagine legata al prodotto : la fotografia di Calvin Klein sembra proporci lo stereotipo dell’uomo sensuale e misterioso, mentre con Ulysse Nardin il consumatore si identificherà probabilmente in una persona di classe, elegante.
Non tutti i soggetti, inoltre, leggono lo stesso messaggio in una stessa immagine.
Come scrive Roland Barthes nell’opera “la camera chiara – nota sulla fotografia” : “sono condannato dalla fotografia ad avere sempre un’espressione”.
L’autore si riferisce a quando egli stesso è soggetto di un’immagine, e vi legge, in seguito, un’espressione che non si riconosce o che non voleva manifestare; cosa significa?
Significa che, in un’immagine fotografica, quindi anche nelle pubblicità, un’emozione o un sentimento viene sempre trasmesso, ma viene letto con diverse sfumature a seconda del soggetto, della situazione sociale o anche semplicemente dell’umore.
Come sostiene Codeluppi (“la pubblicità – guida alla lettura dei messaggi” – 1997) : “nel caso di una comunicazione che viene fruita per la prima volta, se tale comunicazione è coerente rispetto alla visione della realtà posseduta dal soggetto, essa viene accettata e va a rafforzare ciò che è già persente.”
Codeluppi, in realtà, riprende ciò che aveva già individuato nel 1989 Francisco Varela, e cioè che “soltanto il 20% dell’informazione che arriva alla retina proviene dall’esterno del corpo umano. Il resto proviene dall’interno, è attivazione di qualcosa che esiste già, come ad esempio i vissuti consolidati nel tempo di prodotti e marche”. (Codeluppi – “la pubblicità – guida alla lettura dei messaggi” – 1997).
La scelta di un prodotto o di un altro, quindi, è molto legata alla soggettività di ognuno di noi, ed è compito della pubblicità fare leva su queste caratteristiche personali.
Ritornando al nostro esempio che vede protagonisti gli orologi : lo scopo di entrambe le immagini è quello di convincere il consumatore ad acquistare l’oggetto.
Alcuni famosi studiosi di economia e di psicologia applicata alle teorie economiche, quali Dickinson, prima (1922), e Katona, più avanti (1951), hanno osservato che “gli individui mettono a confronto l’impulso al godimento immediato con il desiderio di futuri benefici” ( L. Ferrari – Mente e Denaro – ed. Cortina); da ciò deduciamo che spesso, le pubblicità, non devono solo reclamizzare il prodotto, ma anche persuadere il possibile acquirente della necessità imminente di possedere quell’oggetto, indipendentemente dal reale bisogno di quel determinato bene di consumo .
Questo discorso viene ricollegato al concetto di USP (unique selling proposition) elaborato da Rosser Reeves nel 1985; l’autore sostiene la tesi dell’argomentazione unica di vendita, ovvero in una pubblicità deve essere evidenziato lo specifico benessere o la promessa legata al prodotto reclamizzato per cui il consumatore deve acquistarlo. Secondo Reeves di ogni messaggio viene ricordata massimo una cosa e quindi la specificità dell’oggetto o del servizio offerto deve essere ben evidenziata; quell’unico elemento ricordato deve fungere da stimolo per il consumatore.
Nella pubblicità di Calvin Klein la promessa è quella di divenire un uomo sensuale, una volta entrati in possesso di quell’orologio; Ulysse Nardin invece ci assicura l’eleganza, lo stile di una città come Firenze.
L’elemento portante della pubblicità sarà tanto più immagazzinato in memoria, quanto più sarà vicino alle idee del soggetto; arriviamo così alla concezione proiettiva o sociologica, secondo la quale la pubblicità è strettamente legata all’ambiente sociale in cui viene lanciata.
Per questo motivo uno stesso prodotto, lasciando inalterate le proprie caratteristiche, può sfruttare nel corso del tempo diversi meccanismi sociali per essere reclamizzato.
Il bisogno di possedere uno stesso bene si insinua nella mente del consumatore in maniera differente a seconda delle condizioni storico – sociali momentanee, un tempo, ad esempio, si potevano reclamizzare determinati capi di abbigliamento facendo leva sul fatto che erano conformi alle norme sociali di pudicizia, ora, lo stesso look può essere reclamizzato sostituendo il precedente slogan che spingeva nella direzione dell’accettazione sociale, con una filosofia che convinca il pubblico che un abbigliamento pudico, permetta di distinguersi dalle masse, avvalendosi quindi del procedimento inverso, la non conformità sociale; eppure il prodotto può essere rimasto invariato nel tempo.
In entrambi i casi si cerca di convincere il consumatore che ha bisogno di quel bene per relazionarsi alla società, si sfrutta la vecchia teoria di St. Elmo Lewis (1900) denominata AIDA : Attenzione, Interesse, Desiderio, Acquisto. Questo modello teorico identifica le fasi attraverso cui il consumatore fruisce della pubblicità : una volta catturata l’attenzione, e poi l’interesse, la pubblicità deve riuscire a stimolare il desiderio di possedere quel determinato oggetto. Secondo Bernard Cathelat (1987) nasce così la pubblicità persuasiva, ovvero quel tipo di reclame, ricollegandoci a Reeves, che motiva l’acquisto con una promessa che sarà realizzata con il possesso del bene pubblicizzato.
Làszlò Moholy-Nagy nel 1925 afferma la “nuova visione” fotografica come “modo per trasformare completamente la visione convenzionale forzandola in nuove prospettive” (R.Signorini – Arte del Fotografico – 2001). Lo scopo della pubblicità è questo : trasforma la visione stereotipata di un oggetto, creando nuove prospettive, nuovi punti di vista.
Roberto Signorini utilizza la nozione “Fotografico”, “termine con cui si intende una logica di funzionamento dell’immagine e una sua relazione con la realtà, con l’autore e con i fruitori” (R.Signorini – Arte del Fotografico – 2001) per indicare che un’immagine è legata a più fattori, alla realtà, a chi produce l’immagine ed a chi la osserva : a noi interessa soprattutto l’ultima componente di relazione.
Quando viene ideata una pubblicità bisogna sempre considerare il target, ovvero la tipologia di consumatori a cui è rivolta l’immagine.
4.Moda: abbigliamento
Nella pubblicità di moda si tende ad evitare l’uso di strutture di tipo persuasivo. La moda, e soppratutto l’abbigliamento, ha un uso rivolto all’ambito sociale della seduzione e della caraterizzazione dela persona, sopprattutto in età giovanile. Di conseguenza l’importanza del capo di abbigliamento risiede nel suo valore aggiunto, nella sua capacità di produrre immagine, sogno (e segno), seduzione.
Persuasivo(inclusione)

Uno dei pochi esempi di pubblicità persuasiva legata all’abbigliamento è rappresentata da quella per la marca “Incotex”, produttrice di pantaloni.
Il layout si propone come decisamente classico e formale; è di forma rettangolare e stacca dal resto del layout tramite una netta riga nera.
Il visual è decisamente simmetrico: due modelli sono rivolti frontalmente verso lo spettatore, lo sfondo, sfocato, rappresenta un giardino all’inglese, due alberi ai lati dei modelli confermano la simmetria. L’abbigliamento dei due personaggi è classico e sopprattutto identico; l’uno però indossa gli abiti al contrario. Lo stragemma, confermato dalla headline “La Qualità ha i suoi Punti di Vista” , ha lo scopo di mostrare le rifiniture interne dei pantaloni Incotex. Da notare l’uso del bianco/nero che connota il prodotto in modo Retrò.
Il bodycopy si posiziona sotto il visual alla sinistra; al fianco troviamo il logotipo e sotto il payoff (come da manuale!).
Questa pubblicità vuole probabilmente enfatizzare la qualità nella fattura del prodotto, in sintonia con la tradizione, ed è rivolta ad un target maschile maturo, poco interessato a problematiche di tipo seduttivo-estetico.
Secondo lo schema proposto da Codeluppi (1995), la strategia enunciativa utilizzata da questa pubblicità è di ‘Inclusione’.
Seduttivo
Come anticipato in precednza, il panorama della moda è composto in prevalenza da pubblicità di questa categoria.
Abbiamo scelto sei differenti pubblicità: una per ogni tipo di strategia enunciativa (dallo schema di Codeluppi).
Il visual occupa tutto la spazio della pagina e caratterizza l’abito e la marca dando un preciso riferimento in termini di appartenenza sociale e generazionale.
Nessuna di queste presenta un bodycopy; la headline non è sempre presente.
Ovviamente è sempre presente il trademark e/o il tipologo ( in alcuni casi i due coincidono). Il payoff contiene solo l’indirizzo internet.
1.Autonomia

La prima pubblicità illustra una cravatta di Dolce & Gabbana.
Il modello si pone in posizione quasi frontale, con lo sguardo sollevato leggermente, come a guardare un punto lontano davanti a lui. Il piano fotografico è definito come ‘ravvicinato’. Lo spettatore si trova in una posizione d’intralcio per il personaggio, che esprime quindi una forte indipendenza e sicurezza ignorando completamente lo spettatore e negandogli un’ interazione.
L’abbigliamento del modello riconduce ad un target di classe socioeconomica elevata ed ha caratteristiche discretamente formali.
2.Intimità

Come nota Codeluppi, il contesto non è significativo e la modella non cerca una relazione con altri personaggi; al contrario della prima strategia enunciativa però, è presente una componente psicologica. La modella, inquadrata con un piano ‘americano, ‘ occupa verticalmente l’intero layout, mentre orizzontalmente si pone alla destra dell’asse verticale; la testa è ruotata verso destra, la linea dello sguardo tende a proiettarsi in perpendicolare rispetto a quella del corpo; inoltre il punto di fuoco è lontano. La sensazione che scaturisce è quella di un pensiero rivolto al passato, probabilmente melanconico.
In effetti sia il taglio dell’abito, sia l’aspetto che l’acconciatura della modella si avvicinano alle icone anni ’60.
3.Inclusione
Come nei precedenti esempi, l’io del modello è in primo piano; non c’è sfondo.
L’inquadratura è frontale, il piano è ravvicinato; il soggetto guarda nell’obbiettivo e questo conferisce al ‘tu’ il ruolo di soggetto dell’enunciazione.
Il layout è semplice e pulito, il contrasto figura sfondo è massimo.
Le caratteristiche proiettate da questo personaggio al prodotto possono essere: elegante, giovane, sicuro.
E’ presente un ibrido tra headline e payoff sotto al logotipo.
4.Complicità
Anche in questo caso la modella guarda nell’obbiettivo (‘tu’) ma con un’espressione empatica. La figura, in 3/4, assume una posa naturale all’interno del piano ‘ravvicinato’ ed eprime un’atmosfera di evasione pacatamente positiva. Il trademark “Timberland – for your journey” rafforza l’aspetto di viaggio, spostamento, evasione ma anche semplicità e praticità.
La modella veste in maniera semplice in stile ‘ragazza acqua e sapone’.
L’uso di una foto in bianco/nero a basso contrasto ( il livello di colore più alto è grigio chiaro, non bianco, e quello più scuro è un grigio scuro, non nero) crea un’ulteriore ‘sospensione’ propria di un’atmosfera idilliaca e rarefatta . Da notare l’alto contrasto del colore arancio che risalta fortemente (e associa tra loro) la scritta “women” ed il logotipo.
5.Rappresentazione

Questa pubblicità si discosta nettamente dalle precedenti: siamo di fronte ad un’interazione con diversi significati simbolici. Il contesto è nettamente urbano, realistico, deidealizzate: una strada qualunque di un quartiere qualunque in una città qualunque. Presumibilmente è notte, i contrasti luminosi sono forti, un ragazzo ed una ragazza si fronteggiano in uno scontro violento: l’atmosfera stereotipata della metropoli ostile. Contemporaneamente assistiamo però ad un’inversione: è la ragazza ad avere la meglio trai due in una rappresentazione di tipo ‘magico’ in quanto riesce addirittura a sollevare da terra il contendente (tema dell’onnipotenza infantile).
In questo contesto si inserisce Meltin’Pot, una giovane marca specializzata in ‘urban wear’ ; vicina quindi ai gusti dei giovani che abbracciano una cultura di tipo urbano (o sub-urbano), caratterizzata dal tipico ‘miscuglio caotico’ di differenti subculture giovanili, più o meno estreme. In quest’ottica la pubblicità in questione esprime un concept giovane, estremamente dinamico, agressivo quanto basta per ‘soppravvivere’, eclettico ( da cui il mìnome della marca stessa) e sopprattutto “vero” come recita la headline (“warning! Real players”). La linea di moda sarà informale, portabile, comoda, discretamente aggressiva; ideale per coloro che ‘non sanno stare fermi’.
Headline, trademark, logotipo e payoff sono disposti ai quattro angoli della pagina creando un effetto cornice/focus di impronta futuribile.
6.Empatia

L’ultimo esempio di pubblicità di tipo seduttivo da noi analizzato risponde perfettamente alla descrizione che Codeluppi fa della strategia enunciativa ’empatia’.
La tecnica fotografica segue l’attuale moda del simulare foto amatoriali e improvvisate; l’inquadratura è un piano ‘americano’.
L’impatto è decisamente kitsch, il contrasto tra rosa shocking e verde scuro è estremo, provocatorio e dissonante (volgare?!); la modella esprime una sensualità piuttosto primitiva in riferimento, forse, alle aspettative giovanili riguardo alla prossima stagione estiva. Il messaggio di questa pubblicità è quello di una seduzione semplice, popolaresca.
L’unico testo presente è il logotipo, centrato sulla pagina ed un piccolo payoff sul margine destro inferiore; semplicità assoluta a prova di cerebroleso.
PERSUASIVO VERSUS SEDUTTIVO: analisi comparata
Una presentazione orale, un video, un film, hanno la possibilità di trattare in maniera approfondita un concetto; in queste situazioni comunicative l’esemplificazione dell’argomento d’interesse può durare anche ore, giorni (basta pensare alle conferenze che si protraggono per tre o quattro giorni).
In questi casi si riesce a spiegare quasi tutto circa l’oggetto del discorso; in fotografia il messaggio, gli intenti di chi lo ha prodotto, il lavoro richiesto per la sua realizzazione, devono essere riuniti e fermati in un unico fotogramma, statico, immobile e muto. Come si può, ad esempio, reclamizzare un qualsiasi prodotto con una sola immagine?
Con uno spot televisivo è semplice, in trenta secondi si mostrano numerose immagini e contemporaneamente si istruisce l’ascoltatore sulle infinite particolarità dell’oggetto.
In una singola immagine fotografica si può aggiungere al massimo una frase, breve ed immediata, non si può scrivere l’elenco delle funzioni, o meglio : troppe parole riducono l’impatto emotivo dell’immagine portante, se noi togliamo spazio alla fotografia con un sovraccarico di parole, la pubblicità perde forza, disperde la propria immediatezza; difficilmente resterà in memoria di chi non si è soffermato a lungo ad esaminare il cartellone pubblicitario o la pagina di una rivista su cui è pubblicata l’immagine.
Bibliografia
– “Introduzione allo studio della comunicazione” K.E. Rosengren – ed. il mulino
– “La pubblicità, guida alla lettura dei messaggi” V. Codeluppi – ed. Franco Angeli
– “La camera chiara; nota sulla fotografia” R. Barthes – ed. Einaudi
– “Arte del fotografico, i confini della fotografia e la riflessione teorica degli ultimi vent’anni” R. Signorini – ed. C.R.T.
– “Siamo quello che diciamo” di Gabriella Ambrosio
– “Creatività & pubblicità” di Geppi De Lisio
– “Confessioni di un pubblicitario” di David Ogilvy
– “Breviario di estetica” di Benedetto Croce
– “Scritti corsari” di P.P.Pasolini
– “Redazione e visualizzazione pubblicitaria” di M.Vecchia
– Riviste specializzate in fotografia e pubblicità, quali : “PHOTO” e “ZOOM”
– “Il manuale del design grafico” Daniele Baroni – ed. Longanesi & C.
CREDITS tratto da:
http://xoomer.virgilio.it/ctonella/cap1.html
Università Statale di Milano Bicocca
Corso di Psicologia della Comunicazione
Tesi d’esame – sessione estiva 2002
Tesina realizzata da
Andrea Comollo
Jan Tonellato
Niccolò Landoni
Con la collaborazione di Simone Masi